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Premessa: negli ultimi anni sono aumentate in modo esagerato le pubblicazioni musicali (in ogni settore). Solo nel genere heavy, che include una miriade di sottogeneri ed un quantità esagerata di gruppi underground, sono decine di migliaia i demo, gli EP, gli album… Impossibile seguire tutto? Certo, soprattutto se ci si allontana dai gruppi TOP e si scende verso l’oscurità. Ci sono artisti validi che passano in secondo piano e potevamo noi forse dimenticarli? NO!
Da qui la necessità di creare una serie di articoli/pubblicazioni oltre la classica recensione, che prevede ascolti e tempi di realizzazione più lunghi. Una sorta di breve presentazione di artisti ed uscite, come una volta si poteva trovare sulle riviste di settore.
Ricordatevi di ascoltare il nostro Dottore. Benvenuti a Pillole D’Acciaio!!!
Bronze – In Chains And Shadows – (Autoprodotto)
E’ iniziata l’età del Bronzo. Conclusa la parabola dei Kramp nel 2023, ecco partire una nuova esperienza come Bronze, band diretta discendente della precedente: di fatto, c’è stato solo un cambio di nome, poichè i musicisti coinvolti sono pressochè gli stessi. Anticipato da due singoli, durante la primavera di quest’anno “In Chains And Shadows” viene pubblicato in forma autonoma e vede la luce in CD, vinile e digitale: il quartetto iberico/svedese non propone novità nel proprio sound, orgogliosamente ancorato ad un heavy metal di stampo tradizionale, su cui aleggiano lo spirito dei Running Wild ed elementi di matrice britannica. I brani sono compatti, quasi tutti della durata inferiore ai quattro minuti, e puntano dritto al sodo senza perdersi in ripetizioni inutili o sbrodolature varie: ottimo il contributo alla chitarra di Cederick Forsberg (qui anche nelle vesti di produttore, ruolo condiviso con la cantante) che, in particolare, produce assoli decisamente gradevoli. Altro punto di forza dell’album va ricercato nella voce brillante di Mina Walkure, autrice di una prova grintosa ed incisiva. I brani che preferisco? Quelli più veloci come “Time Covers No Lies”, “Maze Of Haze” e “Realm Of The Damned” – la mia preferita – ma anche pezzi più cadenzati come “In Chains And Shadows” o la più evocativa “Tyrant’s Spell” si fanno ascoltare con piacere. In conclusione, “In Chains And Shadows” non è un disco da acquistare a tutti i costi, ma è ben scritto e ben suonato, ed è piacevole come un paio di birre fresche in una giornata di grande calura! (Luca Avalon)
Evildead – Toxic Grace – (Steamhammer/SPV)
Con colpevole ritardo giungo a trattare un disco che rimarrà scolpito nel percentile di uscite del 2024 che spazia tra “buono” e “ottimo”. Il nuovo “Toxic Grace” dei meno nuovi EvilDead è l’ennesimo ritorno sulle scene di band storiche e a giusto titolo considerate di culto. A pochi anni dal precedente “State of Anarchy” e a molti di più dai grandissimi lavori degli anni ‘80/’90, i cinque losangelini decidono di continuare sulla retta via del Thrash metal da loro anche spianata tempo addietro e lo fanno con 9 canzoni efficaci e non rilasciate tanto per dire “ci siamo ancora”. Perdendo qualcosina dal punto di vista della velocità pura – benchè episodi come “Stupid On Parade” non manchino di alzare di molto i battiti – il guadagno si ritrova nell’immediatezza dei brani, diretti e riconoscibili dopo pochi ascolti, come l’iniziale “F.A.F.O.” o la polemica – come tutti i brani d’altronde – “Subjugated Souls”. Le strumentali presentano belle intuizioni e riff convincenti e la voce di Phil Flores dipinge gli scenari di rivolta con tonalità aggressive ed immediate. Manca forse qualcosa alla fase solista che spiccava parecchio nei primi capitoli discografici, ma non è di certo un neo che possa precludere il godimento di un’opera assolutamente valida! (Vittorio Manzone)
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Savage Oath – Divine Battle -(Postmortem Apocalypse)
“Vada per quella superband (sulla carta) dei Savage Oath” (cit.) Perso un CD, se ne fa un altro, perché no? La citazione di un amico fa riferimento ad un acquisto mancato, sostituito in extremis dai Savage Oath, il classico gruppo “ne ho sentito parlare bene” che non hai ancora avuto modo di esplorare. Prendi il cantante dei Sumerlands (e molti altri gruppi, fra cui i Pagan Altar), unisci il bassista dei Sentry (anche Ironsword e dei fu Manilla Road), mischia con il chitarrista dei Visigoth e condisci con un amico alla batteria, ecco i Savage Oath. Una demo, e finalmente un disco uscito per l’etichetta di Phil Ross (basso), la Postmortem Apocalypse, dall’evocativo titolo “Divine Battle”. Entriamo nel reame del classico Heavy Metal, con una propensione spinta per la melodia ed una vena epica che non raggiunge picchi estremi, ma si lascia apprezzare soprattutto nei brani e nelle sezioni più ragionate. Se “Knight Of The Night” e “The Madness Of The Crowd” incarnano l’anima speed dei Savage Oath, ma sempre capaci di ariose aperture (ascoltare il ritornello della seconda citazione per intendere), “Wings Of Vengeance” elargisce cavalcate cromate dal sapore mistico, “Blood For The King” ed il brano che dà il nome al disco liberano dosi massicce di eroiche soluzioni sonore, la seconda sotto forma di ballata acustica. “Savage Oath” fa quasi pensare a toni addolciti, con quelle chitarre di wishboneashiana memoria (aggettivo azzeccato ma illeggibile, N.d.A.) ad introdurre il brano, ma si inserisce praticamente subito nel solco epico del disco. Minutaggio ai limiti del rischio deficit d’attenzione odierno, con un ristretto numero di brani, sette di cui uno strumentale di meno di tre minuti per spezzare, gli altri in media sopra i sei minuti, ma la cura nella resa sonora e negli arrangiamenti fa la sua parte nell’evitare l’insorgere della noia, senza contare la validità della scrittura. Registrato dal gruppo, masterizzazione finale ad opera di Dan Swäno, copertina di Adam Burke ed illustrazioni interne di Deathmaster (Doomsword), a condire un prodotto che ha richiesto tempo – una lunga epopea durata dal 2018 al 2024 – ma si può assolutamente dire che ne sia valsa la pena. Appena finito di ascoltare “Divine Battle” viene già voglia di far ripartire l’ascolto, sarà forse un segnale? (Pol)
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Medusa’s Wrath – Pavor Exitium Mors – (Autoprodotto)
Ad un paio d’anni dalla pubblicazione dell’EP d’esordio “Lifeless Void”, i Medusa’s Wrath tornano sulle nostre pagine con “Pavor Exitium Mors”, album di debutto che il quintetto ellenico immette sul mercato in forma autonoma. Un disco che ho atteso con una certa curiosità poichè, per quanto fosse buono, l’EP mostrava margini su cui la band, a mio parere, avrebbe dovuto concentrarsi in vista un successivo passo discografico. Se le coordinate sonore entro le quali si muovono i Medusa’s Wrath sono pressochè identiche, è migliorata la qualità in termini di produzione, con il lavoro di Stathis Pavlantis (apprezzato anche nei dischi degli Achelous) che, oltre a mantenere un certo flavour anni ottanta del tradizionale e piuttosto energico heavy metal dei Nostri, ha saputo donare al disco un suono complessivo più attuale, maggiormente feroce ed incisivo soprattutto per quanto riguarda le chitarre. Si è perfezionato anche Giorgos, cantante che avevo trovato un po’ acerbo: qui mette in mostra uno stile più ruvido ed aggressivo, sfoggiando una prova più che dignitosa. Al netto della crescita della band – meglio focalizzata rispetto al recente passato – ed in virtù di pezzi dal buon tiro come la titletrack, “Street Warriors” ed “Heaven’s Gate”, confermo quanto scritto a suo tempo: i Medusa’s Wrath sono un gruppo interessante ed il loro “Pavor Exitium Mors”, pur senza avere i crismi del disco imperdibile, merita quantomeno una possibilità! (Luca Avalon)