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Vengo attratto all’ascolto dall’immagine di copertina – un intricatissimo quanto immediato disegno che mi invita a districarlo.
Scorro la scaletta e noto dieci brani, ognuno dei quali ha un titolo di quattro lettere: queste cose mi fanno schizzare…
Comincio l’ascolto e sento subito che c’è qualcosa di “nuovo”, perché la miscela è esplosiva ma non mi distrugge l’udito – come invece purtroppo succede sempre più spesso con mastering che puntano sull’effetto UAO! senza preoccuparsi di quello che succede dopo – il corpo delle chitarre è friabile ma piacevole, la voce è un particolare intruglio di falsetto distorto e lamento grunge. Ritmiche ben annodate tra di loro.
La band dice che Core «è stato registrato in uno stile volutamente grezzo, senza inseguire la perfezione delle produzioni moderne»: allora applausi. Non tanto per un’etica di purezza fine a sé stessa, non tanto perché la scelta più imperfetta è anche quella più economica, ma quanto perché è la scelta artistica più giusta per esprimere questo tipo di contenuto musicale.
Le tracce nascono dalla «ricerca di un senso in un mondo sempre più disorientato – follia, insicurezza, rabbia, alienazione»: mi piacerebbe leggere il contenuto dei pezzi, ma… su Spotify non ci sono (sveglia, raga, i testi!).
“Biza” mi fa subito pogare in macchina.
“Zero“ idem. Poi arriva il momento di “Naga” e si alzano le mani in preda al delirio mistico (occhio alla strada, però!).
Poi l’incantesimo finisce. Gli ultimi tre pezzi sono un po’ uno sfacelo, come nei migliori dischi grunge… ma va bene così.
Mi piace l’interpretazione progressive di questo impulso stoner.
Mi piace l’aria viziata che si respira in questo disco.
Mi piacciono i Buena Madera.