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Con Transitional Objects gli Headless ritornano in pompa magna con un disco che stavolta mette ancora di più in evidenza la complessità delle tessiture sonore sviluppate da una band in cui si addice bene la definizione progressive.
Non c’è però del solo prog nella musica di questi quattro musicisti in quanto il disco presenta tanti momenti di puro hard rock con tantissime venature AOR. Abbiamo parlato con il chitarrista e fondatore Walter Cianciusi per saperne di più sul disco e sulla brillante carriera di questo artista italiano di larghe vedute, che con la sua band non vuole fossilizzarsi soltanto in un solo genere.
Ciao Walter sono Christian e ti do il benvenuto sulle pagine di heavymetalwebzine.it
Ciao Christian e grazie per averci ospitato!
Innanzitutto, complimenti per il nuovo e bell’album Transitional Objects che riporta in pista la tua band dopo quattro anni di assenza dalle scene. Prima di passare al contenuto della nuova raccolta puoi raccontare ai nostri lettori la storia del gruppo?
In questi giorni molti giornalisti mi stanno chiedendo cosa facessero gli Headless negli anni ’90, poiché le release dell’epoca sono ormai fuori catalogo e difficili da reperire. A dire il vero, pur avendo fondato gli Headless a metà anni ’90, non considero quelle release parte integrante della nostra discografia. Eravamo solo un gruppo di liceali che amava l’heavy metal, il prog in particolare. Niente di serio, a parte un EP e un album con distribuzione globale. Sono talmente insoddisfatto dei risultati ottenuti in quegli anni che vorrei potermi procurare tutte le copie in circolazione e farle sparire! (Risate)
Capisco! Allora ti chiedo, dopo lo scioglimento, cosa ti ha portato nel 2011 a riprendere le redini della band?
Nel ’99 decisi di prendere sul serio la musica e farla diventare la mia professione. Il primo atto dovuto per un significativo cambio di scenario è stato sciogliere gli Headless. Poi ho studiato, giorno e notte, per 10 anni. Nel 2011 finalmente mi sono sentito pronto per tornare in pista con una competenza diversa e ho voluto al mio fianco due pezzi da novanta come Scott Rockenfield e Göran Edman.
Ho letto, nella presentazione della vostra casa discografica, che vi definite un gruppo progressive metal europeo. Mi spieghi perché? Avrei preferito che foste pubblicizzati come una band italiana nonostante la presenza di due bravissimi musicisti stranieri, come il già citato cantante Göran Edman e il bassista.
Göran e Martin hanno un peso rilevante nel sound degli Headless. Sarebbe disonesto da parte mia dire che si tratta di una band italiana, perché finirei per porre l’accento sul mio ruolo piuttosto che sui contributi di ciascun membro. Inoltre è proprio in Italia che gli Headless hanno meno seguito: nemo propheta in patria.
Definire la vostra musica come solo del prog metal mi sembra molto riduttivo. Ho notato che siete influenzati da vari generi musicali in quanto non seguite degli schemi prefissati. Insomma, non siete assolutamente banali e prevedibili. In realtà penso che ci sia anche del classico hard rock ottantiano e un tocco di AOR nelle vostre composizioni. Che ne pensi?
Grazie del bel complimento, sono assolutamente d’accordo. Quando arriva il momento di riavviare la macchina promozionale c’è sempre questo dilemma: come definirci? Un’etichetta spesso serve alla stampa per indirizzare le review e ai booking agent per piazzare la band in contesti performativi adeguati. Certo è che stavolta la complessità delle tessiture ben si sposa con la definizione progressive, sicuramente molto più che per le precedenti pubblicazioni.
In questo nuovo lavoro discografico mancano il chitarrista Dario Parente e il famoso produttore Ted Jensen ma in compenso si ode molta energia e tanta freschezza negli arrangiamenti. Come mai questa scelta?
Parente rappresenta una delle più grosse delusioni della mia vita. Per anni – più di 30 – ho pensato che fosse una persona diversa: “cherchez la femme” direbbe Dumas. Quanto a Ted avevamo già avviato la collaborazione con lui per Transitional Objects tant’è che la versione singolo di Weightless che trovate su Spotify è stata masterizzata da lui! Poi però un ingegnere di Amburgo – Fabian Tormin – mi ha contattato, in qualche modo sfidando Ted. Mi ha detto di essere un nostro grande fan e di poter fare di meglio di ciò che aveva ascoltato sul singolo. Gli abbiamo concesso un tentativo e siamo rimasti senza parole dalla qualità dei risultati. Ecco perché alla fine dei giochi abbiamo preferito lui a Ted. D’altronde non c’è da stupirsi: per Ted gli Headless sono uno dei tantissimi progetti che porta avanti ed è dunque verosimile che vi dedichi un tempo limitato. Viceversa per Fabian era un’occasione importante.
Prenderai un nuovo chitarrista almeno per i concerti o rimarrete definitivamente in quattro?
Certo! Ci sono sempre almeno 4 chitarre attive in ogni nostro brano, dunque almeno due dal vivo sono assolutamente necessarie! (Risate)
Il primo singolo “Weightless” è un brano moderno, potente, ritmato, articolato a livello tecnico e con una grande melodia in cui brilla il paesaggio prog metal profuso dalla tua sei corde elettrica e dalla battente sezione ritmica capeggiata da Martin Helmantel e da tuo cugino Enrico Cianciusi. Come è nata l’idea di questa particolare canzone? C’é in questo momento una band prog che ti sta ispirando in particolare?
Grazie Christian. Sì in effetti è un brano cui sono molto affezionato, sia perché è dedicato al mio primogenito Michael Louis, sia perché è il primo che ho composto per il nuovo album. Rappresenta l’inizio di un nuovo corso. C’è una band poco conosciuta almeno in Italia che ha conquistato il mio cuore ed ha ispirato grandemente il nuovo album. Si tratta dei Dance Gavin Dance. A mio parere, sino a che nella band c’era il cantante Tilian, potevano essere additati come una delle proposte più originali e compositivamente appassionanti degli ultimi 10 anni.
Hai composto anche tutte le altre tracce o ti ha aiutato qualcuno della band? Qual’e’ il tuo metodo di comporre e cosa ti ha ispirato in quest’ultimo disco?
Tutti i brani, tranne la cover dei Megadeth, sono stati scritti da me e Göran (Edman, il cantante). Di solito io ed Enrico (Cianciusi, il batterista) prepariamo una demo con batteria e chitarre da inviare a Göran e Martin. A questo punto Göran immagina le melodie vocali su fonemi casuali d’invenzione e Martin pensa ad un arrangiamento di basso. Quando la demo torna nelle mie mani io scrivo i testi sulla scorta delle melodie di Göran e poi si parte con la registrazione della versione definitiva. Facciamo così dal 2011 ed è per noi un metodo vincente. Quanto all’ispirazione io non sono quel genere di compositore che scrive continuamente per poi selezionare i materiali migliori. Piuttosto scrivo quando non ce la faccio più a trattenere un’idea fissa, un suono che mi ronza nelle orecchie e mi tormenta da settimane, magari da mesi. Quando ho iniziato a scrivere questo album stavo per esplodere. Non prendevo la penna in mano da quasi un anno (dico penna perché solitamente compongo sul pentagramma piuttosto che sullo strumento), ero straripante di nuove idee. L’ispirazione può variare di brano in brano ma direi che gli eventi significativi che hanno accomunato un po’ tutti gli output compositivi di Transitional Objects sono stati: la morte di uno dei miei più cari amici e la nascita di mio figlio.
C’é un tema particolare nelle liriche dei brani?
Non direi ci sia un tema comune. Piuttosto si tratta sempre, in pieno stile Headless, di digressioni esistenzialistiche dal sapore distopico. Anche i brani in cui c’è una vibrante forza positiva (es. “Weightless”) sono sempre oscurati da un velo di malinconia e paura dell’avvenire.
“Losing Power” e “Fall To Pieces” sono i pezzi più veloci e pesanti dell’album mentre, proseguendo nella set list, dalla rocciosa semi ballata “Misery” per continuare alla cadenzata “Still My Thrill” si ode un abbassamento dei ritmi e un maggiore spazio alla melodia. È stata una scelta partire in quarta per poi proporre atmosfere accattivanti e suggestive, come nel caso della stupenda ballata “Refuge”?
Sì, anche per proporre un percorso inverso rispetto a quello del precedente album Square One, che partiva con una semi-ballad per arrivare poi ad un assetto full-blast. “Refugee” è una delle ultime canzoni che abbiamo scritto ed ha una struttura inusuale che ho derivato da un vecchio e poco conosciuto brano dei Rolling Stones di cui non rivelerò mai il titolo (risate). Sono contento che tu l’abbia menzionata e apprezzata.
Presumo che sei un accanito fan dei Megadeth ( per la cronaca pure io) dato che hai pubblicato sull’album la cover “I Thought I Knew It All” impreziosendola con l’ottimo apporto chitarristico dell’amico e collega Andy Martongelli. A parte il tuo amore per gli americani, hai scelto questa bellissima canzone anche per il fatto che suoni con Dave Ellefson?
Sì, è un tributo mio e di Andy al nostro comune mentore David Ellefson. Ma in realtà è anche parte di un progetto più ampio avviato nel 2013 con l’album Growing Apart. Voglio includere in ogni album degli Headless una cover di una delle band che mi ha profondamente segnato. Abbiamo iniziato con “As Tears Go By” dei Rolling Stones, poi in Square One abbiamo inserito “Two’s Up” degli AC/DC ed ora i Megadeth. Ho scelto questa canzone in particolare perché è stata scritta proprio da David ed è sempre stata una delle mie preferite del periodo della maturità dei Megadeth. Inoltre credo che la voce di Göran possa davvero rendere giustizia a quelle incantevoli melodie.
Toglimi una curiosità! Ho letto che sei anche un professionista nel campo della musica elettronica dato che sei Docente di Composizione Musicale Elettroacustica. Come riesci a scindere il ruolo di chitarrista metal da quello di insegnante di una disciplina così distante dal nostro amato genere musicale?
È dura! Soprattutto è difficile dare credibilità alla propria figura in entrambi gli ambiti poiché chi mi conosce per la musica metal storce il naso quando mi trova alle prese con installazioni sonore interattive o legge le mie opere concettuali. Viceversa chi mi conosce principalmente come compositore sperimentale storce il naso quando incappa in una delle mie canzoni. Secondo me il segreto è non tentare mai una miscela dei due ambiti, proponendo una versione “dei poveri” dei Nine Inch Nails. Certo che non posso permettermi passi falsi: sono tutti pronti a crocifiggermi, dall’uno e dall’altro lato.
Dopo tanti anni di duro lavoro e sacrifici cosa pensi oggi del chitarrista e compositore Walter Cianciusi? Sei soddisfatto della tua crescita professionale o ancora hai qualche sogno chiuso in un cassetto?
Credo di aver raggiunto una sorta di “aurea mediocritas” per dirla con Orazio. Spendo tutto il mio tempo in ambito musicale e riesco a provvedere così a tutte le mie necessità e a quelle della mia famiglia. Non è poco. Avere di più, passare di categoria, diventare una rock star full-time significherebbe perdere inevitabilmente tutti gli affetti e tutta la stabilità che ho conquistato. Quindi il mio auspicio è continuare a fare quel che faccio e poter contare su quella nicchia di pubblico che sinora mi ha sempre accolto con favore fornendo un feedback positivo sul mio operato.
Nei tuoi tanti tour e nelle tue collaborazioni con artisti importanti c’é qualche curioso aneddoto che puoi raccontare ai nostri lettori?
Ne ho milioni. Il primo che mi viene in mente. Durante l’ultimo tour David Ellefson ha deciso di viaggiare più comodamente e dunque ha noleggiato una macchina sportiva sulla quale ci spostavamo io, Andy e appunto David, bypassando il nightliner. Per celebrare la serie di bravate compiute alla guida abbiamo creato un gruppo privato su whatsapp chiamato Speed Demons. Dopo aver scorrazzato per tutta Europa in barba al codice della strada ci siamo salutati caramente a fine tour. Dopo qualche mese David ci manda in chat la ricevuta di un pagamento effettuato per totali 2000$ (di multe), aggiungendo la didascalia: “questo è il prezzo che pago per essere uno speed demon assieme a voi motherf*” (risate)
In conclusione, dopo questo scoop e questa bella e lunga chiacchierata cosa vuoi dire ai fan degli Headless e a quelli che ancora non vi conoscono?
Credo che con Transitional Objects gli Headless abbiano confezionato il loro black album. Se ancora non ci avete mai sentito, dateci una possibilità. Magari rimarrete affezionati. Di certo la nostra proposta trasuda onestà e intesa.
Un grosso in bocca al lupo per il tuo nuovo disco e per la tua carriera. Spero di vedervi presto dal vivo in Italia.
Grazie a te Christian, non vedo l’ora!