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Ronnie Romero (Rainbow, The Ferrymen, Sunstorm, Lords Of Black, Elegant Weapons) è un cantante in auge già da più di un decennio perché, con la sua potente e bellissima voce, ha collaborato e collabora tuttora con una miriade di band ma soprattutto è stato lanciato alla ribalta da un certo Ritchie Blackmore (Blackmore’s Night), leggendario chitarrista dei Rainbow. Backbone, prodotto dallo stesso Ronnie e dal chitarrista Jose Rubio Jimenez, che si è occupato del mixaggio e del mastering contribuendo anche al songwriting e alla chitarra solista, vede pure la partecipazione del famoso cantautore e musicista Russ Ballard (co-autore della canzone “Hideaway”) e del chitarrista Kee Marcello (ex Europe) che sciorina un assolo sullo stesso brano, oltre allo strumentista statunitense Roy Z presente sulla traccia “Eternally”.
Ronnie afferma: “Devo ringraziare il mio caro amico Russ Ballard!! Prima di iniziare a scrivere le canzoni, ho avuto l’idea di farne una insieme, per collegare in qualche modo il legame che abbiamo con i Rainbow. Ha accettato subito e mi ha inviato un’idea fantastica che si è trasformata in Hideaway”.
L’aiuto di Ballard è evidente nella mielosa melodia mentre i prolungati e sdolcinati assoli chitarristici di Kee Marcello sono da manuale. Ma in questo pezzo, tirato e melodioso, spicca anche il talento versatile dello strepitoso vocalist che fa sembrare un gioco da ragazzi adattarsi e fondersi ai diversi stili sonori del disco. A proposito di questo, il sound dell’opera è un potente e ispirato hard rock ma è anche un tradizionale heavy metal, ambedue influenzati dalla scuola collaudata dei Rainbow dell’indimenticabile Dio. Ciò si nota specialmente nelle tracce più cadenzate e con una forte presenza dell’organo conferendo, in alcuni casi, una sintonia epica ad alcune composizioni. Proprio un vellutato suono di organo introduce la ritmata e robusta title-track “Backbone”, cedendo poi il passo a un lento e contenuto riff di chitarra e a una laboriosa sezione vocale che non può fare a meno di ricordare i lontani e fondamentali anni ’80, di cui il cantante sudamericano è un grande estimatore. Il tutto conferisce al brano un’atmosfera epica e monumentale che fa ben sperare per il continuo. In effetti, le sorprese successive sono tutte positive, come nel caso della mastodontica “Bring The Rock” dallo stile tipico dei Deep Purple e della meravigliosa power ballad “Lost In Time”. Entrambe sfoggiano la chiarezza, la potenza e l’estensione vocale di un cantante al culmine delle sue abilità vocali confermandosi una delle voci principali della scena hard rock e metal contemporanea. La prima è un mid-tempo dall’orecchiabile melodia, dove l’intelligente singer si stacca dall’approccio frenetico ed energico del power metal udito in Too Many Lies, Too Many Masters del 2023, dando così ai brani più respiro e facendoci apprezzare di più la sua forte e impeccabile timbrica vocale. La seconda è la classica ballata dal sapore soul e avente un grande e melodico refrain che rapisce al primo ascolto grazie soprattutto al fenomenale lavoro di chitarra dell’amico Rubio. Seguono la grintosa e dinamica, “Never Felt This Way”, vero e proprio pezzo rock in cui i distorti e ripetitivi giri di chitarra trascinano in un orecchiabile ritornello sostenuto anche da una potente sezione ritmica. Il micidiale e adrenalinico suono della vorticosa “Lonely World”, fortemente influenzata dai britannici Uriah Heep, avrebbe dovuto essere il passo successivo, ma stranamente si trova dopo la sdolcinata e ottantiana “Hideaway (Run)”. Quest’ultima è fondata su un approccio di puro AOR, dove il ritornello melodioso è guidato dall’elettrizzante e acutissima voce del cantante, che alza i decibel per renderla il più possibile dura e solida. Le cose cambiano con “Keep On Falling”, perché il buon Rubio alterna melanconici riff di chitarra ad altri più possenti aggiungendo poi anche dei velocissimi assoli di chitarra. Il brano sembra un lento ma non lo è, perché le parti leggere esplodono poi in stridenti giri di chitarra condotti da un impetuoso organo e dalla rabbia vocale di Romero, che canta in un contesto diverso rispetto ai suoi standard. Il talentuoso americano Roy Z mette poi lo zampino nella terz’ultima, “Eternally”, caratterizzata dal solito organo che innesca un energico e calzante groove che sfocia in un memorabile e canticchiabile ritornello. La penultima e orientaleggiante “Running Over” è l’ennesimo mid-tempo di puro metal e dai toni solenni che esalta ancora una volta le acutissime e melodiche corde vocali dell’inarrivabile Romero che oltre alle sue indiscutibili doti vocali, possiede anche un notevole talento compositivo. Il platter poi si chiude con la vertiginosa “Black Dog”, omaggio ai mitici Led Zeppelin, che mostra i muscoli strumentali di una band che accompagna magnificamente Ronnie, ma che nello specifico non riesce del tutto a far decollare un ritornello che meritava migliore sorte. Sebbene l’album non sia un capolavoro e non abbia una grande “originalità”, rimane comunque saldamente e ottimamente ancorato ai canoni del classic rock/metal. In conclusione, Ronnie Romero sforna uno dei dischi più convincenti della sua breve carriera da solista che merita attenzione e tutto il supporto dei veri rockers.



