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BOTTOMLESS – Musica Senza Fine
Giorgio Trombino è un personaggio sincero e diretto così come i suoi Bottomless. Lo abbiamo raggiunto per soddisfare qualche curiosità e parlare dell’ultimo album The Banishing.
Ciao Giorgio, grazie per l’intervista e benvenuto su Heavymetalwebzine!
Prima di palare di The Banishing vorrei chiederti qualche curiosità…volevo domandarti come si forma un polistrumentista del tuo valore, nel senso, imparare a suonare uno strumento richiede tempo e costanza, come sei riuscito a imparare a suonare diversi strumenti e alcuni particolari come il duduk?
Ciao Michela e grazie mille per le tue parole. Non mi considero un polistrumentista quanto più uno che fa casino, all’occorrenza, con vari strumenti. L’unico strumento per il quale ho avuto una sorta di formazione è stato la chitarra, e quello sarà sempre il mio punto di riferimento, mentre per tutto il resto sono sempre stato assolutamente anarchico e la mia unica guida è l’intuito. Ho solo cercato di trovare quella che pensavo fosse un po’ la logica dello strumento, ma mi basta sedermi a guardare un vero batterista, sassofonista o tastierista per vedere le infinite cose che non so e non saprò mai suonare come si deve. Per quanto riguarda il duduk, ne comprai uno su Ebay una decina d’anni fa dopo aver letto un libro stupendo di Antonia Arslan, “La masseria delle allodole”, che è la storia di una famiglia armena che affronta gli anni del genocidio. Il duduk appare in un punto davvero tragico della storia e la descrizione mi incuriosì tanto da cercarne uno.
Insieme a David suonate in diversi progetti, come riuscite a conciliare i diversi impegni sia a livello creativo che organizzativo?
È un bel casino, ma lo è sempre stato, quindi in fondo ci siamo abituati. Ho abitato in Sicilia fino al 2017 e andavo su e giù con l’aereo ogni volta che avevamo un impegno. Da quanto sto in Veneto la situazione è migliorata e di sicuro riusciamo a vederci più spesso, a registrare o a fare date anche date singole con più facilità.
Hai partecipato all’ultimo lavoro dei Messa e degli Homunculus Res, ci sono particolari criteri di scelta per collaborare con una band o è una questione più affettiva?
Conosco i ragazzi degli Homunculus Res da anni e, anche se abbiamo suonato insieme dal vivo una volta sola qualche anno fa a Milano in occasione di un loro release show, ho registrato qualche parte di sax, voce e flauto su ogni loro album. Penso che il loro taglio di prog con elementi pop sia intrigante, esilarante e riconoscibile fin dal primo accordo. I ragazzi dei Messa, invece, nel corso degli anni sono diventati alcuni dei miei migliori amici qui e abbiamo intrecciato le nostre esperienze in varie occasioni. Ho un gruppo black metal con Rocco, i Thysia; ho suonato dal vivo insieme a Alberto nel suo progetto, i Solo, e lui sei anni fa registrò una guest sul disco che Sara e io facemmo a nome Sixcircles, dunque le nostre strade si sono incrociate spesso. Ho registrato un paio di parti di fiati su “Close” dei Messa ed ero presente nelle varie fasi della registrazione del disco, dunque penso fosse abbastanza naturale per loro chiedermi di accompagnarli nell’esperienza della formazione estesa. Per me è stata senza dubbio una delle situazioni più divertenti e avvincenti degli ultimi anni e il materiale che hanno deciso di proporre è stato semplicemente unico. In generale, cerco di collaborare solo con gruppi di cui apprezzo realmente la visione artistica, come è successo
con i Tenebra, i Bedsore e, di recente, con i Vertebra Atlantis di Gabriele Gramaglia. Negli ultimi anni le registrazioni come ospite si sono intensificate e sono diventate parte integrante del mio lavoro di musicista.
The Banishing è il vostro secondo lavoro, a vostro avviso che cosa avete portato con sé dell’album di esordio e invece che cosa avete congedato?
L’album d’esordio era il risultato di una scrittura spalmata nell’arco di più di quattro anni e, a mio avviso, c’erano vari elementi di discontinuità stilistica. Non disprezzo il primo album ma, a dire il vero, in The Banishing ogni dettaglio è più curato. I pezzi presenti sul nuovo album sono stati scremati con più attenzione e abbiamo puntato a un risultato più coeso. Abbiamo accolto tutto l’heavy classico che abbonda nei nostri ascolti e forse abbiamo perso per strada un po’ dello spirito classicamente “hard-americanoide” presente in alcuni pezzi del primo album, come la title track o “Losing Shape”. Non so dirti se sia un bene o un male, ma al momento siamo davvero soddisfatti del modo in cui è uscito The Banishing e lo vediamo come un momento di novità sonora nel nostro percorso, pur restando oscuri e doomy al 100%.
L’album si contraddistingue per un sound d’altri tempi, quali sono gli aspetti che vi intrigano di più della produzione analogica?
L’album è stato registrato in digitale ma usando un vecchio mixer italiano Lombardi insieme a vari dispositivi analogici. Alla fine del processo di registrazione è stato masterizzato su nastro come si faceva una volta, quindi il suono è un mix di nuovo e vecchio. In realtà non è più rarissimo trovare la stessa formula in alcuni dischi registrati negli ultimi anni ma il risultato finale dipende sempre dall’intenzione che vuoi imprimergli e dal gusto personale del gruppo e del produttore. Daniel Grego dei Mal de Testa Studios è stato bravo a intuire da subito la natura “antica” del nostro suono e a non forzare la mano su nessun aspetto, lasciando che i suoni fossero organici e naturali.
Rimanendo su questo tema, dal vivo ci sono accortezze che tenete per riprodurre il più possibile le atmosfere dell’album?
Dal vivo la nostra formula è più grezza e miriamo all’essenziale. Siamo un trio, dunque quasi tutte le parti armonizzate sono ridotte all’osso e cerchiamo di puntare tutto sull’impatto e sullo “spessore” dei suoni, dunque nessun accorgimento particolare. Se c’è da fumarsi uno o due bei cannoni di solito cerchiamo di farlo dopo aver suonato eheh!
I testi parlano di magia, morte, malinconia, che cosa vorreste raccontarci nello specifico? Ci sono delle letture o altro che vi hanno ispirato?
Mentre nell’ultimo album degli Assumption, “Hadean Tides”, c’erano vari riferimenti letterari specifici (Dylan Thomas, Eliot, Rilke), per i Bottomless ho scritto più di getto e ho cercato di cavalcare l’immaginazione senza legarmi a riferimenti specifici. L’unico pezzo dove puoi trovare alcuni riferimenti extramusicali è “By the Sword of the Archangel”, il cui testo venne scritto subito dopo aver visto il Faust di Murnau del 1926, capolavoro assoluto dell’espressionismo tedesco. Per il resto, nel disco si alternano il desiderio di raccontare delle storie cupe e fantasy a dei momenti più confessionali.
Nell’album sono presenti due ballad, evento piuttosto raro, è stato un processo spontaneo oppure meditato già dalla prima composizione dei brani?
In realtà l’unica ballad intesa come tale è “Drawn Into Yesterdays”. Il testo parla della sparizione delle mie memorie infantili felici e del tentativo di recuperarle o di non perdere le poche che rimangono. Ad ogni modo, adoro le ballad o comunuqe i pezzi più tenui in dischi pesanti. Pensa a Sleeping Village, Planet Caravan, Solitude, Changes, She’s Gone: sono momenti essenziali nelle rispettive tracklist e credo che diano una profondità ulteriore a qualsiasi disco. Noto con rammarico che l’abitudine di scrivere questi pezzi si sta perdendo in molte delle produzioni heavy recenti. L’unica ballad a essermi entrata in testa di recente è “Nostalgia” degli Enforcer, nella quale sento una grossa e, per quanto mi riguarda, ottima influenza Scorpions dei primi ’80s.
The Banishing interiorizza una delle epoche più gloriose della musica, vi sentite responsabili nel diffondere un certo genere magari ai più giovani e come si colloca il vostro sound nella scena italiana?
In tutta onestà, ci sentiamo responsabili solo nei confronti del nostro desiderio di scrivere musica che provenga dal cuore. Tutto ciò che senti nei nostri pezzi è la trasposizione del nostro amore per questo genere. Pur essendo in ottimi rapporti con tanti gruppi italiani, non ci interessa collocare il nostro sound in alcuna scena. Fra l’altro, il cosiddetto “dark sound” all’italiana e la nostra gloriosa scuola di doom (che noi adoriamo) hanno sonorità molto diverse dalle nostre, e a dirla tutta penso che un ascoltatore straniero che si aspetta di sentirci suonare come i Run After To o i Black Hole resterebbe molto deluso. L’85% di quello che oggi viene etichettato come “doom”, a conti fatti, non è altro che stoner debitore di alcuni riff di “Volume 4″. Vedo davvero pochissimi gruppi influenzati da dischi come “Born Again” o “Seventh Star”, che invece noi reputiamo essenziali insieme a una vagonata di heavy e doom classico UK, USA e svedese.
Invece a livello di live avete in programma un tour invernale?
Abbiamo in programma tre date insieme ai nostri amici Tenebra a ottobre (Ravenna, Bologna e dalle parti di Bassano Del Grappa), più vari concerti da confermare in Italia e un paio di festival in Germania per il 2024.
Siamo giunti al termine dell’intervista, lascio a voi la parola per un messaggio ai nostri lettori…
Grazie ancor a te Michela e a Heavymetalwebzine.it per lo spazio concessoci!