SADUS – The Shadow Inside

Titolo: The Shadow Inside
Autore: Sadus
Nazione: Stati Uniti D'America
Genere: Thrash Metal
Anno: 2023
Etichetta: Nuclear Blast Records

Formazione:

Darren Travis – Chitarre, Voce
Jon Allen – Batteria


Tracce:

01. First Blood
02. Scorched And Burnt
03. It’s The Sickness
04. Ride The Knife
05. Anarchy
06. The Devil In Me
07. Pain
08. No Peace
09. New Beginnings
10. The Shadow Inside


Voto del redattore HMW: 7/10
Voto dei lettori: 7.5/10
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Una scheggia impazzita. Una spira di giri frenetici e ritmi forsennati, un attacco improvviso al quale è inutile opporsi, ferino, fulmineo come un cobra nero. Erano pura ferocia, i Sadus, almeno fino al 1992, anno in cui A Vision Of Misery segnò il punto d’arrivo di una parabola partita dal thrash più serrato e brutale – nel novero degli archetipi proto-death Illusions è di certo tra le prime voci – e giunta a quel manifesto di chirurgica malevolenza.   

Prima l’abbandono di Moore, poi la girandola di collaborazioni che travolge il richiestissimo DiGiorgio (pare abbia detto di no solo all’Orchestra Castellina-Pasi) costringono il neo-trio a lunghe pause, al termine delle quali a risentirne è sempre la creatività: Elements Of Anger, sufficientemente vicino al trittico iniziale da rispecchiarne alcuni pregi, profuma d’evoluzione ma brilla per metà; Out For Blood, pubblicato ben nove anni dopo, punta su elementi alieni (i synth di Steve tra tutti) e su di un approccio modernista che mal s’amalgama con l’istintività della musica, smorzandone quell’impeto selvaggio che nemmeno la raggiunta maturità tecnica era riuscita ad imbrigliare.  

Cosa attendersi quindi, a distanza di diciassette anni da quell’ultimo, altalenante album, ora che a timbrare sotto la storica insegna ci sono solo Travis ed Allen? La risposta s’intravede ancor prima d’ascoltarlo, questo The Shadow Inside, mal celata dietro al lavoro di Travis Smith e schermata dall’abbraccio di Nuclear Blast, sempre pronta a ridar lustro a vecchie glorie: nessun passo avanti, due passi indietro. Il decorso, slayeriano fino al midollo, di “First Blood”, è una dichiarazione di intenti, così come il ringhio di Darren, un sibilo ultrasonico che lacera le membrane vestibolari. Sulla prestazione dei due c’è poco da eccepire, la scaletta presenta un campionario di efferatezze che lascia ben intendere come certi membri della “vecchia guardia” non soffrano né d’apatia né d’artrosi, bensì di semplice conservatorismo.  

I brani pungono come vespe velenose, plasmati ad arte su rapidissime concatenazioni di riff e sui passaggi ipercinetici di Allen, ma l’assenza di quel basso torci-budella resta incolmabile, nonostante un’aggressività costante e i suoni di Juan Urteaga tentino in ogni modo di riempirne il vuoto. “Scorched And Burnt” è boriosa, affossata da tempi medi che ne evidenziano l’eccessiva linearità (per i Sadus, s’intenda). Più scorrevole “It’s The Sickness”, sorta di Exodus a 78 giri con un Allen a quattro braccia. “Ride The Knife” è un salto nel passato che aspira al ruolo di nuovo classico, dalla struttura collaudata: incipit con sussurro mortifero e riff che rotolano l’uno sull’altro, a formare un gorgo che tutto travolge sino ad un rovinoso collasso di corde e pelli. “Anarchy” è l’acme della crudeltà, un saggio sulla compressione vecchia maniera che illustra come concentrare, in due minuti e mezzo, ogni sfumatura di violenza musicalmente esprimibile senza ricorrere ad effetti speciali: una perla di sangue rappreso. 

“The Devil In Me” viaggia su binari meno erti e tortuosi, ma sei minuti son troppi per partenze e ripartenze che tornano sempre al punto d’origine, sarebbe bastato enfatizzarne l’attitudine hardcore e destrutturarne l’impalcatura per ottenere un inno thrash d’altri tempi. Con “Pain” si torna a masticare piano, ingoiando riff arcigni e fraseggi circolari fino ad un’efficace serie di assolo. “No Peace” è un techno-speed scattante, perfetto in un contesto autocelebrativo al quadrato, in forte contrasto con la seguente “New Beginning”, placido preludio (profetico?) al brano che intitola l’album in cui finalmente s’avverte, nitido, il suono d’un basso: “The Shadow Inside” è imbevuta d’atrabile, cola lenta come lava poi s’allunga man mano senza mai debordare, trascinando con sé detriti di thrash scuro e un codazzo d’assolo geometrici. Nulla di nuovo, e ci mancherebbe, solo specialità della casa.  

Ora però facciamo una botta di conti: nove anni tra quarto e quinto album, diciassette tra quinto e sesto… io credo che il malefico duo batterà il ferro finché è caldo e mi attendo una settima (ed ultima?) granata thrash/death entro e non oltre il 2026. E la butto lì, pure con DiGiorgio. Volete scommettere?   

2 commenti su “SADUS – The Shadow Inside”

    • Ciao Stefano, grazie per il commento. Gli Overkill? Perché no? Però sotto anfetamina… Allora come ora.
      Fuori dal tempo, sì, come ogni classico che si rispetti: fuori dal tempo perché senza tempo, immortale!

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