EVERGREY – Theories Of Emptiness

Titolo: Theories Of Emptiness
Autore: Evergrey
Nazione: Svezia
Genere: Metal Progressivo/Gotico
Anno: 2024
Etichetta: Napalm Records

Formazione:

Tom S. Englund – Voce, Chitarre
Henrik Danhage – Chitarre
Rikard Zander – Tastiere
Jonas Ekdahl – Batteria
Johan Niemann – Basso


Tracce:

1    Falling From The Sun
2    Misfortune
3    To Become Someone Else
4    Say
5    Ghost Of My Hero
6    We Are The North
7    The Night Within
8    Cold Dreams (con Jonas Renkse e Salina Englund)
9    Our Way Through Silence
10  A Theory Of Emptiness


Voto del redattore HMW: 8,5/10
Voto dei lettori: 8.5/10
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Nonostante la stagnazione apparente, Theories Of Emptiness è un disco avvincente, quasi fosse l’esito di un processo creativo che ha esaurito la propria energia in un ultimo, abbacinante lampo di luce. Sono tante infatti le affinità con i due recenti predecessori, dei quali l’opera si rivela un’estensione conclusiva. Il contributo compositivo di Niemann – il suo basso non è mai stato così grosso – ha influito non poco sul processo di stagionatura, conferendo fermezza al temperamento bigio del gruppo di Göteborg, forgiato dallo scontro tra i chiaroscuri del metal gotico e i più freddi stilemi del power progressivo dei novanta. Una convergenza di ombre e luci che sprizza malinconia ma traspira speranza, e regala un‘esperienza d’ascolto nuovamente gratificante per equilibrio e profondità di contenuti.     

L’accusa di ripetitività mossa dai detrattori – la reiterazione di schemi ritmici e armonici così come di atmosfere e temi lirici – cade dinanzi all’efficacia di brani ricchi di sentimento, dai quali solo i pregi degli Evergrey emergono in modo vivido: riff meshugghiani degradanti in passaggi di puro intimismo melodico, contrappunti siderali che squarciano solide strutture power, assolo sempre tecnici e misurati e, su tutto, la voce possente di Tom S. Englund, un cantore dell’introspezione di rara sensibilità. Nessun segno di modernità a tutti i costi, a differenza di quanto prodotto con risultati spesso discutibili dalle frange progressiste post duemila, verso le quali i nostri hanno comunque sempre teso un orecchio: non è un caso che il missaggio del nuovo lavoro sia stato curato dall’ex Periphery Adam “Nolly” Getgood. 

Attribuire un valore numerico a questo quattordicesimo lavoro in studio è stato facile, dieci brani da 8½, ciascuno in egual misura compiuto e a suo modo memorabile. Sia chiaro, nessuna rivoluzione di cui discorrere rintanati in un bivacco, “soltanto” un’abbondante porzione del cuore generoso di questi musicisti straordinari.  

Certi del fatto che al lettore sia gradita una selezione dei nostri preferiti, citiamo la durissima “We Are The North”, la coinvolgente leggerezza di “Say” (con Zander sugli scudi), lo scambio katatonico di “Cold Dreams”, la strappa-precordi “Ghost Of My Hero” (arrangiata da Vikram Shankar: queste elegie sono la specialità della casa!) e il rock terapeutico di “Our Way Through Silence”, un pezzo da cantare prima di addormentarsi per calmare i nervi e predisporsi a bei sogni. 

Io lo faccio da un paio di mesi, e dormo come un angioletto.  

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