FLESHGOD APOCALYPSE – Francesco Paoli


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FLESHGOD APOCALYPSE – L’urlo Del Riscatto

Ho scoperto i Fleshgod Apocalypse ai tempi di Agony e subito rimasi folgorato dalla velocità, la grinta e la cattiveria di questo death metal, contaminato dalla sinfonia, ma particolarmente originale e diverso da quanto sentito fino a quel momento. Ho sempre seguito il gruppo in tutta la loro evoluzione fino ad arrivare ad oggi (ecco qui la recensione di OPERA). Un gruppo con il sapore internazionale, che rilancia il tricolore al di là dei nostri confini, merita certo una particolare attenzione. Ricordo ancora con piacere l’intervista con Tommaso (più di 3 ore da sbobinare e trasporre, più che un’intervista avrei potuto scrivere un libro). Poi con Francesco, non è cambiato nulla; nelle interviste, i Fleshgod si pongono così come su disco: schietti, sinceri, onesti e liberi da ogni vincolo. Senza peli sulla lingua. E ci si diventa subito amici, tenendo alla larga quell’antipatico divario tra rock star e musicista che spesso, è solamente limitante. Non avremo decretato record di intervista, ma anche in questo caso ho preso un po’ di tempo a sbobinare più di un’ora e mezza dove Francesco si è confessato e ha parlato davvero in amicizia, tralasciando ogni tipo di grammatica e presunzione. Con il suo accento marcato e i modi di dire, tagliando le parole e usando la parola m**da svariate volte, il cantante e ora chitarrista (ma ha suonato di tutto, dalla batteria al basso), mi ha dato fiducia parlando senza freni. Mi sono permesso di tralasciare certi dettagli personali e privati che terrò come confidenze di un amico, lasciando per l’intervista tutto ciò più relativo ad album, musica e concerti. In fondo il bello di noi giornalisti non pagati, criticati e spesso invidiati, a volte è proprio quello. Poterci almeno concedere il lusso di parlare con artisti che hanno davvero tanto da dire e a volte essere un po’ degli psicologi mancati e adempire al nostro lavoro di ascoltatori. Questo, almeno ogni tanto, è quello che ci rimane e che teniamo nel nostro scrigno dei segreti, che con il tempo, diventeranno bellissimi ricordi.

C’è tanto da dire, ma partiamo da questo ultimo disco. Al primo o secondo singolo sei uscito con un post su facebook che aveva il gusto della rivincita, il senso di gran rivalsa su chi forse vi ha criticati e vi lancia fango addosso, ma spiegami qualcosa in più. A proposito, il singolo è subito piaciuto a tutti, sia il brano che il video. Complimenti.

Ho capito di quale post parli. Vedi, spesso si da per scontata l’arte e che gli artisti possano produrre all’infinito e sempre cose perfette. Spesso ci si accanisce con le band, con qualche artista e questo mi fa arrabbiare tanto. E non possiamo migliorare la vita di un artista esprimendo disprezzo per quello che ha fatto. Magari è stato fatto qualcosa per dei motivi e da un punto di vista di gusti, tutto deve essere personale e non può piacere a chiunque. Poi c’è anche il discorso professionale. Un artista non è un prodotto. Nel momento in cui mi sono fatto male, tantissime persone hanno un po’ tergiversato, alludendo alla fine della mia carriera. Questa cosa me la sono legata al dito. Mi sono sbattuto tantissimo per ottenere e in qualche modo generare risultati. Sentirmi come merce scaduta mi è dispiaciuto e avere la percezione che questo disco sia andato così bene, è per me un sentimento di rivincita contro tutti quelli che ci hanno criticato pensando che non saremmo mai riusciti a fare qualcosa di trasversale, di livello internazionale e al pari di gruppi che vengono considerati più di successo rispetto a noi. È anche un segnale che volevo mandare per far capire che al contrario di quanto si potesse supporre, sono ancora qui. Alla faccia di chi non ha creduto in me, in noi, nel momento in cui ho avuto l’incidente.

Ecco visto che abbiamo parlato di Bloodclock, parlami un po’ del video. Ad oggi escono tutti con i classici lyric video, invece voi avete spiazzato tutti con una cosa più vecchio stile e quindi avrete utilizzato anche tante risorse! Persino nel vostro lyric di “I Can Never Die” siete riusciti a creare una cosa più dinamica. Dimmi di più.

In realtà la verità è che noi forse non siamo nel 2024. Siamo una band che vive nel mondo proprio e facciamo le cose che ci piacciono. Economicamente sono cose costose, ma poi girare un video del genere necessita di grandi risorse ed è veramente complicato. C’è pochissima roba finta. Sono stato veramente immerso nella palude, due giorni in una vasca piena di sangue. O come nel video di “Sugar” siamo stati una settimana sott’acqua. In qualche modo però per noi sono cose necessarie. Abbiamo questa “urgenza artistica” di comunicare in questo modo e così facciamo. Ha senso nel 2024? Probabilmente no! Forse il risultato economico e commerciale sarebbe stato lo stesso senza di questo, però da un punto di vista artistico mi sarei sentito disonesto. Non fare una certa cosa per risparmiare o per pigrizia non è da me. Quando facciamo le cose e progettiamo, cerchiamo sempre di creare e percorrere una strada che ci porterà al massimo dei risultati anche quando è una strada sconnessa e piena di insidie. Ne paghiamo le conseguenze, ma in fondo il risultato ti rende molto orgoglioso. Non è forse quello che suggerirebbe un manager che ti direbbe di fare canzoni brevi e video con il green screen. Ottimizzare i costi, ma io preferisco fare un bel video e far passare un messaggio tramite di esso.

Opera è un disco che colpisce subito dalla copertina. Sembra voler richiamare in qualche modo la libertà che guida il popolo di Delacroix, ma si tratta di Veronica, la vostra cantante, è in un teatro all’italiana sopra una montagna di teschi… ho infatti letto Veronica interpreta la Musica, un’entità superiore che sconfigge il degrado sociale e artistico dell’epoca moderna. Vuoi dirmi qualcosa di più sul significato di questa affermazione?

Dunque immaginati questo. Al di là della connessione che questa copertina ha con noi, comunica diverse cose. Veronica rappresenta la parte più estetica e melodica e la nostra connessione con l’opera. La nostra è musica sicuramente death metal, ma ci mettiamo dentro un po’ di tutto, perché facciamo veramente quello che ci piace. La nostra musica non ha un limite di genere. È partita dal death metal sinfonico e con il tempo si è evoluta. Ci siamo posti sempre meno limiti. Quindi oltre rappresentare in qualche modo il nostro genere musicale, la copertina rappresenta inoltre tre elementi. Veronica è l’arte, che in qualche modo sopravvive a due altri elementi. Uno è la montagna di teschi sotto di lei che raffigura l’umanità, inaridita come non mai, a livelli di medioevo. Ma l’arte, per fortuna, riesce in qualche modo ancora ad affermarsi come immortale sopra al degrado, il disagio e la mediocrità umana. L’ambiente retrostante è un un teatro distrutto e decadente che rappresenta la società e i tempi moderni. Nonostante il contesto in cui viene messa l’arte, mancano investimenti, infrastrutture e tanto altro; prendi proprio l’esempio di un Paese come il nostro che sarebbe ricco di possibilità. Lasciando perdere proprio il metal che funziona perché c’è un’industria dietro, dov’è l’investimento del governo per tutto il resto? Questo è gravissimo e non vale solo per la musica, ma anche per tutte le altre arti. Siamo il Paese con il maggior patrimonio artistico al mondo eppure siamo ridotti davvero malissimo. Comunque in tutto il mondo non è che sia diverso. La prima cosa su cui si può tagliare è sempre l’arte, l’intrattenimento… Quindi a livello sociale questo è il contesto. Un posto molto decadente in cui l’arte deve portare di nuovo luce. Eppure un social media manager non sarebbe d’accordo con noi ancora una volta perché forse ci direbbe di parlare di attualità e di cosa oggi va molto di tendenza nel mondo. Come l’incontro di pugilato delle Olimpiadi o magari qualche altro argomento in evidenza. Quindi a noi cosa ci rimane!? Ci rimane l’arte! La prova l’abbiamo avuta durante la pandemia. Cosa facevamo tutti mentre eravamo a casa? Si guardava un film, si leggeva un libro, si ascoltava un disco… e chi è che ci ha tenuti in vita? L’arte. La prima industria colpita da tutti i governi e tagliata per tanto tempo.

Entriamo ancora un po’ dentro al disco. La scrittura dei testi è stata intrisa del tuo dolore e riflessioni del tuo incidente in montagna. Tutto questo forse ha fatto di Opera un disco molto diverso dai precedenti nonostante il vostro inconfondibile marchio di fabbrica. Sei d’accordo?

Io e Fra (Ferrini) scriviamo tutta la parte tecnica e musicale e questo è sicuramente il nostro marchio. Io faccio la parte metal e lui quella orchestrale. E scriviamo assieme. Tutti i giorni per mesi, come un lavoro d’ufficio. I testi invece sono scritti da me. Da un punto di vista musicale partiamo sempre da un concept e mai dalla musica. Abbiamo un’idea e il disco deve parlare di quello; poi ci sono i sotto argomenti, ovvero i brani. Il soggetto di quel brano ha bisogno di una colonna sonora ed è quello che io scrivo per arrivare a chiudere tutto il disco. Un esempio pratico. La musica di “The Fool” è proprio quella di un giullare. Anche Opera è nato così, ma io l’ho scritto tutto mentre ero allettato. Appena uscito dall’ospedale, il Ferro ha costruito a casa mia, nella mia camera, uno studio di registrazione dove abbiamo cominciato a scrivere, poi in sedia a rotelle siamo rientrati in studio e l’80% del disco era già scritto. Io dettavo a lui cosa fare dal letto e così è nato Opera. Ho avuto diversi problemi perché suonicchiavo la chitarra, ma ancora oggi non ho recuperato il 100% dell’uso della mia mano, ma a sufficienza per poter suonare. Sui testi c’è stata in principio un po’ di indecisione perché inizialmente io volevo fare il disco sull’incidente, ma ho avuto un ripensamento perché era molto dura. A livello psicologico confrontarsi con questa cosa, tra tante brutte notizie non era facile poter parlare della cosa. Poi c’è stata una sorta di catarsi, di effetto curativo e mi ha aiutato tantissimo parlare in modo dettagliato della cosa e delle mie paure. Mi preoccupava un po’ di parlare di me. Generalmente sono molto riservato e non metto la mia vita in mostra. Qui ho scritto di tantissime confessioni molto personali coinvolgendo persone a me molto care. Sono oggi molto fiero di tutto questo. L’incidente è il pretesto, ma non conta niente rispetto a tutto ciò che è successo dopo. Rappresenta la porta di una nuova dimensione. Quell’evento tragico in fondo tutti l’hanno avuto. Il disco infatti ha preso una piega molto diversa da drammatico a motivazionale. Nel tempo più andavamo avanti e più recuperavo. Quando mi hanno trovato ero un pezzo di carne e invece poi mi hanno ricostruito tutto e sono riuscito a tornare sul palco ed ecco un po’ perché di quel mio post di cui parlavamo all’inizio dell’intervista.

È inoltre un disco che lascia molto spazio alle parti più sinfoniche e liriche. Anche Veronica e Francesco Ferrini sono molto più presenti.

La quantità di pulito di Veronica è la stessa come in passato, ma la differenza è che non c’è Paolo, per cui lei canta le parti che prima erano assegnate a lui. Forse c’è più spazio per lei perché la tipologia di disco è scritta come un’opera, con i dialoghi e avevo più bisogno di lei. Ferrini è ovviamente sempre molto importante e presente nella musica dei Fleshgod. I brani di questo disco sono un po’ più brevi rispetto al passato, un fattore negativo dei vecchi dischi dei Fleshgod è forse proprio questo. L’essere troppo prolissi. Invece potevamo essere più risoluti. Ma questo fa parte dell’esperienza e io sono il primo critico dei Fleshgod stessi. Ci sono pezzi che annoiano pure me, anche se li ho scritti io. Ora abbiamo più competenza, più feedback dalle persone attorno a me e tutto viene in modo più professionale.

Veniamo al tasto più dolente dei Fleshgod… C’è molto movimento e tutto è molto tumultuoso in casa Fleshgod. Dopo l’addio di Tommaso ti sei dovuto occupare della parte vocale lasciando la batteria ad Eugene. Anche dal vivo ti ho visto poi al basso per problematiche a raggiungervi in tour di Bartoletti. Siete una macchina da guerra comunque dal vivo, ma non credi che una stabilità gioverebbe ancora di più?

In realtà non è cambiato niente. Quello che è cambiato è il contributo delle persone. Penso che questo sia fisiologico. Io per esempio ho trovato il lavoro dei miei sogni e spero di farlo per sempre. Le persone cambiano. E cambiano le situazioni. Paolo ha avuto una grossa stabilità e si poteva negargli la libertà di fare quello che voleva, così come è stato con Tommy o Cristiano. La cosa bella è che nessuna di queste situazioni è stata traumatica. È vero che io ho fatto un po’ il Jolly della situazione, ma avrei fatto fatica a tenere tutto in piedi se ci fossero tante situazioni litigiose. C’è un po’ sempre stato bisogno della benedizione della persona che usciva in entrambi i sensi. Tommy è stato il mio fan quando sono tornato alla voce. Cristiano anche. Paolo addirittura è nella foto del booklet di Opera. Nella foto, noi abbiamo mangiato lui. Veronica prendeva le sue parti vocali e io il basso. Quindi abbiamo fatto questa cosa per giocarci un po’.

Tu sei passato dalla chitarra al basso. Infatti dal vivo vi abbiamo potuto vedere con una sola chitarra. Pensi che tornerete a due o resterete solo con una?

No non penso che torneremo a due. Dal vivo due chitarre impastavano molto. Sul disco si continueranno ad usare due chitarre, ma dal vivo penso che ci abbiamo guadagnato perché c’è talmente tanta roba nella nostra musica che rischiavamo di essere ridondanti. Poi Fabio è un grandissimo chitarrista. Suonare come fa lui non è affatto semplice. Sono circondato da gente che sa suonare veramente, sono tra dei fenomeni e ne sono fiero. Io ci metto l’anima, sicuramente, ma c’è da dire che Veronica ha un voce impressionante che non abbiamo assolutamente mai modificato e dal vivo si sente. Fabio abbiamo già detto che è un signor chitarrista, Eugene è impressionante. Siamo io e il Ferro rimasti agli anni 2000 forse, e ci confrontiamo con un’altra generazione.

Veniamo appunto alla musica dal vivo. Siete molto attivi sia in Italia che all’estero. In contesti grossi e più a portata di tutti. Quali sono le vostre conquiste di cui sei più orgoglioso e incontri o complimenti con gruppi storici e personaggi particolari?

Abbiamo suonato da poco con Phil Campbell che ha guardato tutto il nostro concerto e ci ha fatto un sacco di complimenti assieme a Dennis Stratton. Bhe questi sono grandi sogni per noi. Abbiamo suonato sul palco con i Pantera. Un tour con dei sold out incredibili negli Stati Uniti, a Tokyo, Melbourne. Tutte capitali di continenti per noi sono state grandi conquiste, così come Wacken o altri grandi festival in giro per l’Europa. Sono ancora molto affezionato ai concerti nei club e ora abbiamo una grande produzione da portare in tour per il supporto al nuovo disco. Sarà una dimensione meno underground, ma spero di rimanere a questi livelli ed essere padrone di quello che faccio. Riesco ancora a seguire e curare tutto. Non voglio proprio fare il figurante. Il sogno nel cassetto è suonare alle olimpiadi invernali. Perché secondo me è una cosa che può succedere. Insomma dopo i Gojira a Parigi, perché no? Il tempo c’è.

Avete appena chiuso 6 date di cui l’ultima proprio in Italia, oltre a quella al Metalpark. Come sono andate?

Tutte benissimo. Metalpark è stata una piacevole sorpresa. Anche se non siamo una band da festival al pomeriggio, devo ammettere che è andata benissimo. Pioveva eppure le persone correvano per venire sotto il palco e noi abbiamo cercato di dare il massimo. Anche al Bamboo festival serata incredibile. Bello show anche all’Alkatraz. È andato tutto liscio. Poi si parte per gli Stati Uniti dal 14 settembre per un mese, poi un’altra data in Italia, dove probabilmente gireremo un DVD. A gennaio invece tour europeo, ma non saremo headliner. Prima o poi vorremmo portare un vero e proprio tour in Italia, come fanno altri gruppi nei loro Paesi, gli Angelus Apatrida in Spagna o i Septicflesh in Grecia ed essere noi headliner.

Veniamo ora ad un’altra domanda forse un po’ scomoda. C’è stato un bel tumulto anche in casa Nuclear Blast, ma siete ancora rimasti fedeli alla vostra etichetta. Spesso i contratti vanno di 3 dischi in tre e siamo al sesto. So che è difficile esporsi, ma puoi dirmi quanto siano cambiate le cose e quanto pensi sia importante l’esposizione di un’etichetta con questo nome nonostante i cambiamenti interni? Se vuoi puoi non rispondere ovviamente!

In realtà noi non l’abbiamo subita questa cosa. Siamo sempre stati abbastanza indipendenti e la casa discografica è sempre stato un appoggio per noi, permettendoci da un punto di vista artistico e promozionale di essere molto liberi. Abbiamo tanti amici in Nuclear Blast e i Fleshgod sono cresciuti lì. Noi siamo per rimanere per un discorso di continuità. Sono arrivate altre offerte, ma non tutto si compra con i soldi. La nostra libertà e le nostre possibilità sono perfette in questo piccolo universo. Poi mai dire mai. Siamo aperti a tutti. Ad oggi non mi va di cambiare.

Parlando di vendite. È tornato di moda comprare il fisico, ma le etichette spesso ci dicono che non si vende più come prima e questo è ovvio, ma voi avete visto un incremento sostanziale?

Tantissimo. Una cosa incredibile. L’etichetta stessa non era pronta e si staranno mangiando le mani. Abbiamo stampato la metà del potenziale che avremmo potuto mettere sul mercato. I pre-order sono andati esauriti in un mese e mezzo e abbiamo dovuto fare un ordine dalla casa madre. Erano rimaste solo 150 copie che abbiamo comprato noi. E questo solo per il vinile di Opera. E non parliamo poi dei CD. Non so come ringraziare i nostri fan. Questo ci dà opportunità di reinvestire e fare tante belle cose. Non siamo gente che mette in tasca soldi senza pensare di poterli usare per andare avanti e con i Fleshgod ora ci stiamo permettendo molto come la nuova scenografia, la nuova produzione. Poi ognuno di noi per fortuna fa altro, anche se riusciamo a vivere di musica, proprio per poterci permettere di fare di più.

Veniamo a qualcosa di “marzulliano”. Tranquillo. È una cosa che faccio spesso in fondo alle interviste. Vuoi dirmi qualcosa di cui non abbiamo parlato sia sul disco o su di voi, qualcosa che nessuno ti chiede mai nelle interviste? Hai l’opportunità di auto farti una domanda..

Questa è una bellissima intervista per cui non trovo nessuna vera lacuna. Eri preparato su di noi, sul disco ed è stato estremamente piacevole. Ci ho investito il quadruplo del tempo rispetto le altre interviste perché è stata proprio una chiacchiera tra amici ed è stato bello. Da un punto di vista comunicativo penso e spero di essere riuscito a dire quello che volevo. I Fleshgod sono un gruppo onesto e abbiamo sempre fatto musica onesta. Nel bene e nel male, siamo riusciti a creare una carriera intorno a questo ed è una cosa che mi piace sempre ribadire. Siamo circondati da tanta merda e forse la domanda che manca sempre è : “chi ve lo fa fare?” e la risposta è che la mia onestà e libertà di espressione è l’unica cosa che mi spinge a fare quello che faccio. Con l’ultimo disco ho praticamente confessato di essere un coglione. Abbiamo preso certe cose non troppo seriamente, come fare la cover di Blue o la cover acustica di The Day Will Be Gone che è una canzone pesantissima che parla di un lutto personale e di un passato che mi ha segnato la vita. Cose così estreme con cui puoi un po’ giocare, come mettere Britney Spears dentro un pezzo o fare un disco tipo Opera. Questa per me è onesta intellettuale ed è la cosa che non mi farà mai smettere di essere innamorato di quello che faccio ed è il motivo per cui lo faccio.

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