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Eravamo rimasti ai quarant’anni di carriera con Diabolical, un disco non particolarmente entusiasmante nella longeva carriera dei tedeschi Destruction. L’uscita dello storico chitarrista Mike e la formazione a quattro, così come per i compatrioti compagni d’armi Sodom, doveva ancora trovare un’amalgama. Gli anni hanno cominciato a farsi sentire e la vena creativa forse ha iniziato ad esaurirsi? Assolutamente no!
Questo Birth Of Malice è stata una bellissima sorpresa per il sottoscritto. Forse partito un po’ prevenuto e stanco degli ultimi lavori, mi aspettavo qualcosa di noioso e senza anima. Invece che il disco sia una bomba lo si percepisce dalla prima e autocelebrativa “Destruction”. Chitarre compatte, un assolo fantastico e uno Schmier veramente in forma. L’assetto a due chitarre e l’assenza di Mike impongono una diversa strategia e dunque sonorità diverse dai dischi a cui eravamo abituati. Il timbro vocale e l’energia del nostro amato cantante, ci garantisce il marchio di fabbrica dell’oramai quartetto del Baden-Württemberg, ma le composizioni e i riff di chitarra hanno uno stile completamente diverso rispetto al passato.
L’energia è la stessa ritrovata ormai venticinque anni fa ai tempi del ritorno con All Hell Breaks Loose, e i titoli e testi ci riportano un po’ ai clichè degli anni 80. Forse l’assenza del macellaio in copertina è un indizio importante, così come il recente cambio di etichetta. E’ evidente che la voglia di riscatto e di rinnovarsi era un’esigenza per i thrasher teutonici.
Le chitarre del duo Eskić/Furia si dovevano confrontare con la storia e hanno cercato di farsi sentire bene. Graffianti e fischianti emergono in tutto il disco e brillano negli assoli, i quali presentano una melodia mai sperimentata prima dai Destruction e dallo stile di Mike. La produzione, chiara e cristallina, di stampo moderno, aiuta a sentire distintamente gli strumenti e rende l’ascolto particolarmente piacevole, sebbene patinato.
Nelle undici tracce, dopo più di quarant’anni si sente una boccata di aria fresca, una velocità ancora impressionante, dato dai ritmi di batteria di Randy Black, finalmente preciso e impattante. Birth Of Malice ci porta dunque i clichè degli anni 80, la violenza dei 2000 e soprattutto un po’ di innovazione per un gruppo che aveva sicuramente bisogno di svecchiare e mettersi in pari coi tempi.
Chiude il disco la dodicesima traccia, cover degli Accept, “Fast As A Shark”! Un simpatico omaggio al fulmicotone!
Il macellaio forse questa volta non si vede, ma si sente ed è tornato!
Gran lavoro !!! E lo dice un metallaro di 54 anni ! Stafelice che escano ancora dischi ( chiamiamoli così ) del genere ! Un po’ come quando uscì brotherhood of the shake dei Testament !!! Sento in me vivo e pulsante l’orgoglio Metal !! 🤟🏻😂