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L’abito scuro s’addice al portamento di Ray. Eleganza e sobrietà, senza eccedere in formalismi.
Basta uno sguardo alla veste minimalista, un ascolto ai sei minuti di “This Hollow Shell” per interpretare II, per penetrarne la sostanza. Rispetto a What The Water Wants son cambiate luci e paramenti, più consoni alle circostanze in cui questo secondo album è stato steso, al termine di un triennio ricco di soddisfazioni – il ritorno dei Fates Warning, l’esordio col botto del progetto A-Z – almeno quanto di sconvolgimenti a livello socio-politico mondiale.
Il nero predomina, il rosso è marmorizzato, i segmenti perfettamente paralleli… ogni brano di II s’inserisce con precisione in questo contesto grafico (Cecilia Garrido Stratta? Non abbiamo indicazioni, ma parrebbe ancora una volta una creazione della sig.ra Alder) e la musica si fa più scura, più dura, ricalca le armonie geometriche del gruppo madre con tratti più spessi, poggiando su ritmiche tetragone e melodie che si rivelano a gradi, effetto della capacità, innata nel cantante texano, di conciliare espressività e scavo interiore, oggi con rinnovato ardore.
Le corde di Abdow ed Hernando toccano terra, le chitarre suonano profonde – ma gommose, in alcuni frangenti la distorsione è quasi korniana – mentre casse e tamburi patiscono l’appiattimento delle dinamiche tipico delle produzioni moderne (ancora Domination Studios per mix e master); a farne le spese è la tecnica di Anderson, spogliata della sua naturalezza. Difetti riscontrabili nel 90% delle uscite contemporanee che non privano II di dignità, poiché a decretarne il reale valore è il lavoro del comporre e del rendere organico, distribuendo gli elementi con equità (gli interventi solistici sono esempi perfetti di misurata ricercatezza) in un ambito, quello del rock/metal progressivo odierno, in cui il bilanciamento tra slanci tecnici e finitezza melodica viene raggiunto di rado.
Incapaci di colmare il rigo con lungaggini o elucubrazioni, i quattro inoculano germi elettronici in soluzioni metalliche, snelliscono e poi fortificano le trame ritmiche degli ultimi Fates, ne vestono di freddo acciaio l’aura melodica, rileggono i Rush dei novanta, omaggiano il metal-prog delle origini (“Changes”!). Vogliamo credere che una selezione di tal livello – con ripescaggi dalle sessioni di WTWW – non sia servita unicamente ad onorare il contratto con Inside Out.
Non c’è II senza tre, giusto? Io ci conto.