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“I Voivod sono pronti a uscire con la prima compilazione che raccoglie le flatulenze registrate nei tour indocinesi dal 1984 al 2022”.
Non raccontateci frottole, vista la qualità che non abbandona la formazione canadese dalla nascita ad oggi – se proprio necessario smentire a tutti i costi, fate eccezione per qualche sporadica sbandata nei difficili anni ’90 – correreste a prendere anche l’ultimo ritrovato per fanatici al limite della presa in giro, perché è fuor di dubbio che non sarebbe difficile trovarci pregi, visto che si parla di Voivod.
La seconda giovinezza che accompagna il gruppo da un evento che avrebbe messo la parola fine a molte altre compagini stabili e affiatate quale la loro, la morte del compositore principale e anima della creatura, insieme a Michel Away Langevin, l’indimenticabile Denis Piggy D’Amour, ha finito per rafforzare e spinto a proseguire a testa alta lo stesso Away.
Lo abbiamo visto ancora emozionato come fosse la prima volta che sale su un palco alla premiazione ai Juno Awards – il corrispettivo canadese dei Grammy Awards – per il miglior disco Heavy Metal dell’anno 2022 (qui la nostra recensione di Synchro Anarchy), esprimendosi con un accento inglese che ancora tradisce le fiere origini quebecoise.
La macchina ha la quinta ingranata, e tra un tour e l’altro (proprio tra maggio e giugno sono stati impegnati nell’ennesima invasione europea, in compagnia dei Testament) trova il tempo di regalare nuove emozioni discografiche ai suoi sostenitori. Morgöth Tales è un regalo che i Voivod si fanno – e ci fanno – in occasione del 40simo anniversario della formazione, chiamando per l’occasione ed una fugace comparsata anche Eric “E-Force” Forrest e Jason “Jasonic” Newsted, vecchie conoscenze che offrono nuovamente i propri servigi in termini di registro grave in due delle tracce risalenti al periodo passato nel gruppo. Non la si deve infatti considerare come una nuova uscita tout court; per chi non li conoscesse, i brani presenti in Morgöth Tales sono composizioni contenute nella pregressa discografia dei Voivod, disseminati all’interno della corposa discografia e ripresi dall’attuale formazione, invero non apportando particolari modifiche agli arrangiamenti.
Ora, proseguite cospargendovi il capo di cenere, colpevolizzandovi e impegnandovi ad espiare le vostre colpe se la segnalazione del fatto che le composizioni non sono inedite (fatta eccezione per l’ultima eponima traccia) è stata una rivelazione: è uso comune ritenere che le stesse andrebbero insegnate alla scuola dell’obbligo, memorizzate come una volta si usava fare con le poesie.
Una nuova veste che calza perfettamente, ora come allora, su brani costruiti sin dalla propria genesi in modo impeccabile; si possono elencare, con dovizia di particolari, gli stati d’animo che si susseguono durante l’ascolto, ma nulla eguaglia l’inebriante ed impagabile piacere di lasciarsi trasportare dalle trame complesse, sghembe, dissonanti, fuorvianti e schizzate sulle quali da quarant’anni incede marziale Korgüll, dispotico ed incontrastato sovrano delle “terre desolate e senza tempo di Morgöth” (cit.).
Come sempre, fatevi un favore: recuperate l’ennesima perla dei Voivod.