OCEANS OF SLUMBER – Where Gods Fear To Speak

Titolo: Where Gods Fear To Speak
Autore: Oceans Of Slumber
Nazione: Stati Uniti D'America
Genere: Metal Progressivo Gotico/Estremo
Anno: 2024
Etichetta: Season Of Mist

Formazione:

Cammie Gilbert – Voce
Dobber Beverly – Batteria, Pianoforte, Tastiere
Semir Özerkan – Basso, Cori
Alex Davis – Chitarre
Chris Kritikos – Chitarre, Cori

 


Tracce:
  1. Where Gods Fear To Speak
  2. Run From The Light (con Fernando Ribeiro)
  3. Don’t Come Back From Hell Empty Handed
  4. Wish
  5. Poem Of Ecstasy
  6. The Given Dream
  7. I Will Break The Pride Of Your Will
  8. Prayer (con Mikael Stanne)
  9. The Impermanence Of Fate
  10. Wicked Game

Voto del redattore HMW: 8/10
Voto dei lettori:
Ancora nessun voto. Vota adesso!
Please wait...

Visualizzazioni post:211

Son saliti a Bogotà gli Oceans Of Slumber, dopo aver deluso (volontariamente?) le aspettative di Century Media. Il vecchio colosso in seno a Sony avrebbe di certo preferito un album più decifrabile, magari col passo altero dell’auto-intitolato predecessore, e si è invece ritrovato tra le mani il poliedro irregolare Starlight And Ashes, traboccante di soul e goticismi in salsa southern. Chi vi scrive non solo ha apprezzato, ma lo ritiene un crocevia fondamentale nella carriera del gruppo di Houston, primo parto maturo della coppia Beverly/Gilbert. E allora ben venga Season Of Mist, sempre disposta ad aggiungere pagine di spessore al proprio variegato catalogo.

Sarà stata l’altitudine, la consapevolezza che certe condizioni obbligano all’adattamento – pena l’affanno – o il desiderio di riscoprire quelle radici che nel tempo son penetrate fin troppo in profondità, fatto sta che con Where Gods Fear To Speak i texani tornano a flagellare e a menar fendenti lenti, sotto il dolce peso del fardello emotivo di Cammie. La sua vocalità nera, spinta al limite dalla rarefazione dell’aria che si respira a 2640 metri sul livello del mare, spreme spirito da ogni trama melodica: meno ossigeno, più urgenza espressiva, soul e death, una miscela esplosiva che sancisce in modo perentorio l’unicità di questa interprete.

Il disco è un’altalena di emozioni, un saggio sulla conciliazione di cerebralismo e passione che trova completa espressione in tracce dal taglio drammatico come “Don’t Come Back From Hell Empty Handed” o “I Will Break The Pride Of Your Will”, nelle quali i cambi di registro avvengono senza scossoni, facilitando l’assimilazione di partiture altrimenti ostiche, dense di tastiere e stille sintetiche. Ad esse si affiancano momenti di più marcata ambivalenza, in cui le due anime collidono producendo schegge di progressive estremo: il growl fa spesso capolino – col patrocinio di Ribeiro e Stanne in due dei brani più avvincenti del lotto – e le sezioni strumentali accordano livido death metal a sinuose strutture gotiche, cementandole con sferzate doom e architetture ritmiche di armoniosa complessità.

Tra un andirivieni e l’altro, l’ascolto regala alcune perle di un Dobber bifronte, batterista millimetrico dal piè veloce e pianista classico dal tocco vellutato. Se le sincopi digitali di “The Given Dream” rivelano il suo amore per Portishead e Sneaker Pimps, le accelerazioni e gli stacchi a corredo dei fulminei giri death in “The Impermanence Of Fate” ne rimarcano le origini brutali, schizzando sangue ferrigno sul disincanto di Cammie.

Una narrazione così tesa merita un epilogo d’autore, che consenta ai muscoli e alla mente di decontrarsi per far sedimentare tanta ricchezza di contenuti. Questa volta spetta a Chris Isaak ricevere in dono la miglior rivisitazione del decennio: non ditelo a nessuno, mi ha confessato che fra le settantasette riletture ufficiali di “Wicked Game” quella degli Oceans Of Slumber è in assoluto la sua preferita.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.